Orgoglio Bisessuale: la storia di Elena

Da donna bisessuale con una presentazione di genere molto femminile, io non esisto. E’ strano da dire, vero? Io. Non. Esisto. Non esisto per altr*, questo è certo (sei etero! Un’orgia e via per te eh? Lo fai per attenzione! Turista sessuale! E’ solo una fase…) e talvolta non esisto nemmeno per me stessa.

Ci sono giorni in cui penso che si, è vero, forse sto mentendo a tutt* e sono etero. O forse sto mentendo a tutt* e sono gay. Ci sono giorni in cui scopo col mio partner ed è bellissimo ma assieme al sudore sulla mia schiena sento mischiarsi il bruciore dell’eteronormatività. Ci sono momenti in cui mi viene chiesto: “your partner…he? She?” o ancora – e questa è la mia preferita – “what ARE you?” ed io so che qualsiasi risposta è la risposta sbagliata, non importa dove io mi trovi. Spazio queer, spazio gay, spazio etero, safe space… a che spazio appartengo io? Chissà se l’immagine della bisessualità come una “via di mezzo” non parli proprio di questo.

Quando pensiamo alla bisessualità come una vuota “via di mezzo”, come passaggio, come una fase (associando alla sua connotazione spaziale anche quella temporale e attribuendo ad entrambe un connotato di transitorietà inevitabilmente negativo) stiamo negando la validità di questo orientamento. Anche la parola stessa “orientamento” ci fa pensare ad una direzionalità fisica del desiderio, no?

La filosofa e scrittrice femminista Sara Ahmed 1 ne parla, definendo l’omosessualità come un orientamento opposto: se l’eterosessualità è una linea dritta, che crea una griglia del desiderio che lo incanala verso un futuro eteronormato, che lo omologa e lo costringe a muoversi soltanto al suo interno, l’omosessualità è un movimento contrario, che si muove indietro, rifiutando la drittezza della griglia.

Del resto, si parlava e si parla del desiderio omosessuale come “contronatura”, figurando la natura come qualcosa di certo, di già dato, di retto (anche nel senso di dritto, come le linee rette) e le pulsioni omosessuali come qualcosa che va contro tutto ciò, e che dunque si muove nella direzione opposta in un atto quasi rivoluzionario che rifiuta il futuro dritto e la rettezza dell’eterosessualità, opponendosi a questa griglia.

Cosa accade però, mi chiedo, quando la bisessualità invece che muoversi rigidamente o in avanti o indietro, sfugge tutte le griglie possibili e si muove al di fuori di questo binarismo? Sarò onesta, a me è sempre sembrata una figata questa cosa; quante potenzialità ci sono in un desiderio che è in grado di direzionarsi dove c***o gli pare? Non è mia intenzione fare una classifica dei desideri ma per la prima volta da anni provo una sorta di orgoglio – sì, possiamo chiamarlo così – per il mio orientamento.

Eppure mi devo spesso frenare nell’attribuire alla bisessualità uno status magico di potenzialità infinite: questa mossa rischia di essere tanto dannosa quanto la cancellazione. Presentare la bisessualità come orientamento straordinario che promette prodigi e miracoli intersecati da una gamma infinita di organi genitali intercambiabili, di relazioni flessibili e di amore libero, di sesso sfrenato e bramosità primordiali, finisce per essere soltanto un altro enorme stereotipo. Ci sono persone bisessuali monogame, poliamorose, single, persone biromantiche asessuali, persone bisessuali a cui non frega un c***o di smantellare la cultura della mononormatività 2.

Eppure una parte di me riflette sulla possibilità che l’esistere un po’ ai margini sia della cultura eterosessuale sia della cultura omosessuale conferisca alla bisessualità forse un po’ più di audacia nel porsi domande su queste altre sovrastrutture (le famose griglie di Sara Ahmed) come la monogamia obbligatoria o la cultura occidentale dei binarismi.

Non smetto mai di rattristarmi nel realizzare che alcuni membri della comunità LG spesso scelgono di proteggere questa loro appartenenza ponendosi come custodi di un mondo ipotetico fatto a loro immagine e somiglianza, dettando chi può entrare e chi no.

Niet Normaal è una famosa festa queer ad Utrecht, dove vivo. Durante l’ultima edizione a cui ho partecipato, la mia amica (che chiameremo Claudia) è stata accerchiata da quattro ragazze semi ubriache che le hanno intimato di andarsene perché, cito, “Non sembrava queer abbastanza da poter essere in quello spazio”. Non dovrei nemmeno dirlo ma Claudia è lesbica. Claudia è una lesbica goldstar per essere precis*. E’ chiaro che l’appartenenza ad un gruppo discriminato, oppresso, che subisce violenze fisiche e psicologiche sistematicamente è un tema delicato.

Come poter giudicare con leggerezza le ragazze del Niet Normaal? Chissà quante ragazze etero hanno fatto loro violenza in passato, o sono rimaste a guardare senza intervenire, o semplicemente chissà quante volte questa cultura eteronormativa ha fatto sì che loro odiassero se stesse per quello che sono.

La bisessualità è denigrata esattamente per questo motivo: avere la possibilità, anche ipotetica, di mimetizzarsi nel mondo eterosessuale, è sicuramente un enorme privilegio. Una ragazza su OkCupid, una volta, mi scrisse: “che bello godersi tutte le parti divertenti dell’essere gay e poi rifugiarsi nell’eterosessualità quando essere gay diventa troppo faticoso”. Mi ci sono voluti anni per smettere di dare ragione a questo concetto; certi giorni ancora oggi mi ci incastro.

Ma la bisessualità non è una scelta calcolata e consapevole e fare le/i custodi dei gruppi identitari (il famoso gatekeeping) non toglie paura e vergogna, le fa aumentare. Quando ci si stringe assieme e si creano comunità attorno principalmente alle oppressioni che si subiscono, il rischio è quello di fare a gara a chi è più oppresso, decidendo arbitrariamente che tipo di discriminazione è sempre e indiscutibilmente più importante di un’altra.

Queste olimpiadi dell’oppressione sono state le protagoniste e principali aguzzine nei miei anni adolescenziali, facendomi affogare tra dubbi sul mio presunto esibizionismo in cerca dello sguardo maschile, sulla legittimità che avevo di esistere in uno spazio gay, sul poter portare al Pride (di quanto il Pride sia ormai stato completamente cooptato dal capitalismo e da movimenti assimilazionisti ne parliamo un’altra volta) il mio partner maschio-cis, sul poter essere ORGOGLIOSA, in generale, della mia bisessualità.

E allora mi viene da dire davvero un enorme “vaffanculo…ebbene sì!” 3 a questo odio interiorizzato, a questa paura di uscire dalle categorie binarie che mi sono state imposte come unica scelta, a questo non sentirsi a casa mai in nessuno spazio, in nessun tempo; “vaffanculo…ebbene sì!” a* custodi senza contesto, agli stereotipi di bisessuali ingord* e bramos*, all’invisibilità e alla cancellazione. “Vaffanculo…ebbene sì!” ad un desiderio che si deve muovere sempre e soltanto in una direzione o in un’altra.

Io mi muovo come c***o mi pare, io mi muovo libera.

 

1 Ahmed, Sara. Queer Phenomenology (2006).

Ossia una cultura che eleva ad uno status superiore l’attrazione sessuale verso persone di un genere soltanto. L’orientamento delle persone eterosessuali e omosessuali rientra nella griglia della monosessualità.

3 Collettivo “Nostra Signora dei Fiori”, La Traviata Norma ovvero: vaffanculo…ebbene sì! (2019)

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