Non siamo tutti uguali

Non siamo tutti uguali, i bisessuali ne sanno qualcosa.

Leggendo (con estremo piacere) su Bproud le storie di molti di voi e più raramente confrontandomi dal vivo con altri bisessuali ho notato uno schema ricorrente nel riconoscersi tali: si passa da una presunta naturale eterosessualità al coming out omosessuale, fino a sbarcare nell’isola della bisessualità.

Tre step: etero -> omo -> bi, con tutte le possibili corse ad ostacolo in avanti e indietro, saltando ogni tanto una fase e via dicendo, in un mix di somiglianze e differenze tra una persona e l’altra che, per quanto spesso si tratti di storie di sofferenza, è pur sempre una sofferenza con una sua parte di bellezza, una scoperta continua di noi stessi, una piccola conquista dopo l’altra.

Ecco, a me questa cosa delle fasi non è mai successa. Io d’esser bisessuale ne sono sempre stato conscio, molto prima di conoscere il termine stesso.

Ricordo in modo nitido un episodio che mi ha segnato. Avrò avuto credo nove o dieci anni, verso la fine delle elementari; io e due miei amici del quartiere veniamo a conoscenza di un tesoro tra i tesori, in un anfratto tra i garage sotterranei nel condominio di uno di noi: i classici giornaletti pornografici. Ci siamo avventurati, stile Goonies, armati di torce, occhi vigili e orecchie bene aperte, con il groppo in gola. Dei due miei compagni, uno mi piaceva moltissimo, l’altro era un ripetente che aveva due o tre anni più di noi (ma bocciano ancora alle elementari? Come mi sento vecchio…). Arrivati al nostro obiettivo, ci lanciammo con gioia nella lettura, nel più totale silenzio. Ad un certo punto, il più grande prese una decisione, si abbassa i pantaloni e… beh, fece quel che potete immaginare. E io l’ho guardato, a bocca aperta, stupito. Sì, perchè all’epoca nemmeno sapevo cosa fosse la masturbazione. Vedendo che lo stavo guardando, il mio amico mi sorrise e mi disse “beh, sei frocio?”, con tutta l’eleganza e il bon ton di un ragazzino di dodici anni degli anni novanta (meno male che almeno mi aveva sorriso…).

Secondo smarrimento: che caspita era un “frocio”? “Sono gli uomini che guardano gli uomini”. E non capivo. E il mio amico, diventato improvvisamente mentore (immagino se li sia tirati su i
pantaloni, a un certo punto!), si mise d’impegno e me lo spiegò.

Che giornata incredibile. In sequenza, per la prima volta: ho visto un giornaletto porno, ho scoperto cos’era la masturbazione maschile, cos’erano i gay e cosa gli eterosessuali. Strano? Considerate l’età, a dieci anni uno ha il diritto di essere ignorante in certe materie. In più la mia famiglia non è mai stata aperta su certi temi: nessuno mi ha mai raccontato delle api e dei fiori, figuriamoci di omosessualità! I miei genitori non erano dei bigotti, ma nemmeno avanti coi tempi.

Fossi eterosessuale, quel giorno sarebbe rimasto nella mia memoria come quello in cui scoprii l’omosessualità. Il problema è che a me piaceva quel terzo ragazzino con noi, in garage. E a scuola
me ne piaceva un altro, così come altre due o tre compagne di classe. Sentimenti platonici, le prime cottarelle che tutti hanno avuto in gioventù, ma pur sempre cotte per maschi e femmine! Quindi cosa caspita ero? Un “uomo che guardava gli uomini” o un “uomo che guardava le donne”? Nella mia ingenuità e ignoranza, non sapevo che le due cose potessero essere separate… fino ad allora. Sì, è stato scioccante.

Passarono poi gli anni ed io ho continuato allegramente a guardarmi intorno interessato a chi mi piaceva, alle medie, al liceo, all’università, al lavoro. Sì, son passato per quello che non ero parecchie volte, ma senza mai avere dubbi sulla mia sessualità. Nel bene o nel male (grazie al cielo, più nel bene), ho sempre saputo chi ero. Poi, come ho già raccontato nella mia testimonianza precedente, ho raccolto finalmente l’etichetta “bisessuale” e me la sono attaccata addosso, ma è stato per dichiararmi al mondo, non a me stesso.

Sono stato fortunato? Oppure ho evitato una trafila dolorosa ma necessaria? Non lo so, io son così. Non siamo tutti uguali, giusto?

Credo sia la forza e al tempo stesso la debolezza di queste benedette etichette. Ti danno un senso alle cose, le razionalizzano, le rendono più chiare. Ma al tempo stesso creano dei cassetti mentali da cui è molto difficile uscire. Nel nostro caso specifico, definirsi bisessuale può significare molte cose. Non solo le classiche gradazioni in salsa Kinsey: un bisessuale è diverso dall’altro nel modo in cui si è rapportato alla sua natura, durante la crescita e nella maturità. E torniamo a Bproud e ai vari blog, forum e siti internet che parlano della bisessualità e ai gruppi dal vivo, alle organizzazioni e via dicendo. Il bello di leggere e ascoltare queste storie (e poterle scrivere e raccontare) è proprio questo: l’incredibile, vastissima differenza nelle esperienze, nella vita vissuta, nei ricordi di ognuno di noi. Il modo in cui le percepiamo e come ci hanno forgiato.

La ricerca di una comunione con altre persone a noi affini, con i nostri stessi problemi e i nostri disagi, ma anche con una visione simile (non identica, ma pur sempre simile!) del mondo. Capita a volte di sentirci male per la nostra bisessualità, perchè ci ha portato spesso problemi. Ma siamo anche stati pronti a cercare soluzioni. L’importanza delle testimonianze, di confrontarci tra di
noi, è questa, ascoltando le nostre storie si finisce per coglire un fatto fondamentale: le differenti esperienze servono ad unirci.

Non guasta dircelo ogni tanto: gente, ma lo sapete che è bello essere bisessuali?

Flavio

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