Working out: la storia di Flavio

Ciao gente,
dopo un po’ di tempo che non ci si sente, ho qualcosa da raccontarvi. In questi ultimi due anni me ne sono capitate: ho lasciato il lavoro, cambiato compagna (due volte), dimagrito ferocemente e ingrassato nuovamente (c’è poco da fare, appartengo alla specie homo fisarmonicus).
Il fattaccio è capitato poche settimane fa. Ho cominciato un nuovo lavoro da poco e, come capita sempre in una nuova azienda, c’è quel delicato periodo in cui ci si comincia a conoscere. Niente da ridire, anzi, mi ritengo molto, molto fortunato: ovunque vada, trovo sempre gente simpatica e alla mano, motivo per cui anche stavolta mi son detto “tombola!”.
Poi la moglie di un collega ha fatto capolino una sera in ufficio e mi ha tempestato di domande. Dove sono nato, il segno zodiacale, che lavoro facevano i miei genitori, se ho figli e se ne voglio, robe così, passando di palo in frasca allegramente.
Alla domanda “non è che sei gay?” ammetto che non ero preparato. In genere queste cose non vengono fuori così… direttamente, diciamo. Tra l’altro, in sala relax, con buona parte dei colleghi presenti. Beh, la mia risposta è stata fulminea “no, sono bisessuale”. Così, semplicemente. Cominciano le ovvie domande di rito cui credo siamo tutti ormai abituati (“stai con un uomo o con una donna? E non ti manca l’altro sesso? E prima della tua attuale compagna come mai non hai avuto un compagno?” e così via…).
Poi, dato che ormai erano le nove di sera, ci siamo tutti salutati e ognuno a casa sua.
Bello, eh? Tipo lieto fine.
E invece no. EEEEhhhhhh, gente… ho la fortuna di non aver mai avuto in vita mia un attacco di panico, ma credo di essermi avvicinato, quella sera. Che avevo fatto? Così, di punto in bianco, di fronte a tutti? Ma scherziamo, con i tempi che corrono, con la possibilità di perdere il lavoro? Che sì, viviamo nel ventunesimo secolo e siamo tutti all’avanguardia e modernissimi… nel pubblico. Ma che mi era venuto in mente?
Non mi era venuto in mente niente. Non l’ho fatto apposta, mi è venuto di getto. Che è tanto bello sì, ma cavolo, che paura dopo! Ho passato l’intera notte a pensare che in fondo non avrei dovuto dirlo. Che la mia identità è mia e basta, che forse sono una persona insicura che ha bisogno di essere accettato e allora ecco che mi dichiaro, che anzi forse cerco addirittura il modo di direzionare il discorso verso il mio orientamento (vi giuro, ho pensato pure questo). E che magari dal giorno dopo o al massimo entro una settimana o due, avrei dovuto cercare un altro lavoro. E via di pensieri negativi, uno dopo l’altro.
Premetto: non mi hanno sbattuto fuori a calci. A dire il vero, tolto due o tre commenti assolutamente neutri (i buoni, vecchi “tu chi ti faresti tra Travis Fimmel e Katheryn Winnick?”. Come se la risposta non fosse scontata, dai!!!), manco se n’è più parlato. Ecco, mi è andata bene. I mostri neonazisti che quasi mi ero immaginato, non esistevano. Non in quella realtà, non nella mia azienda. L’ho detto prima, no? Sono uno abbastanza fortunato, mi ritrovo in genere in situazioni favorevoli. O forse, in situazioni che ho considerato buone perché un vero e proprio Coming Out al lavoro io non l’avevo mai fatto.
Qualche conoscente, qualche collega preso in disparte, con cui sono andato a bere una birra una sera, sì loro lo sapevano. Ma apertamente, tutti i miei colleghi, no. E va bene che non sono uno che sale sul bus gridando la mia identità di genere e il mio orientamento sessuale, ma da qui a non parlarne mai ce ne passa.
E’ un coming out continuo. Che fatica.
Mi è andata bene, dicevo, sì. Ma cosa significa? Facendo lateral thinking, se si fossero dimostrati un branco di bifobici della prima ora, tipo forconi e tridenti in mano, cosa sarebbe capitato? Sì, forse avrei perso il posto di lavoro… e allora? Ma io ci tengo seriamente a lavorare per della gente così? Per quanto abbia bisogno di lavorare (e chi non ce l’ha?), devo veramente avere a che fare ogni giorno con persone che non mi accettano?
Ecco, l’ho capito dopo che l’attacco da comingoutfobia (voglio i diritti d’autore) mi è passato… non mi è andata bene per volontà divina. Mi è andata bene perché ho preso una decisione. E una volta che hai preso una decisione, sono gli altri che devono decidere come reagire, non tu. Mi accetti? Bene, sono dei vostri. Non mi accetti? Baci e abbracci, non ho bisogno di te nella mia vita.
Non voglio fare di tutta l’erba un fascio. Ben immagino che la stessa situazione sarebbe potuta andare molto diversamente e non vengo certo a dirvi “fate così anche voi!”. Questa è solo la mia testimonianza, che nel bene o nel male, mi ha fatto crescere un pochino di più, insieme alla mia consapevolezza.
E sì, mi son sentito un cagasotto per come ho ragionato quella sera e quella notte. Un uomo fatto e finito che trema come una foglia, per di più nascondendo a se stesso le vere motivazioni. Sì, perché la mia vera paura, ho capito solo più tardi, non era mica per il lavoro. La mia paura era che qualcuno mi puntasse il dito contro e dicesse “bisessuale!”, ovviamente in modo negativo, denigratorio, ridendo o sbraitando. Perché per quanto possa sforzarmi, ci sarà sempre una (spero di giorno in giorno più piccola) parte di me che si vede allo specchio e dice “sono sbagliato”. Mi ha dato molto fastidio, questa paura. Sentirmi quasi colpevole, non so bene di cosa, al punto che parlarne apertamente significa autodenunciarmi. E che cavolo avrò mai fatto in vita mia? Non ho ucciso né stuprato nessuno, perché sentirmi così? Eppure, a volte, questa cosa viene fuori.
Non ci posso fare niente. Ma va bene così, lo accetto, l’importante secondo me è non fermarsi a questo. La paura c’è per un buon motivo: ti avverte che c’è un pericolo. Poi sta a ciascuno di noi sapere come comportarsi. Se la paura diventa troppo grande, la nostra vita diventa più piccola. E se questa paura ci dev’essere sempre, tanto vale cercare di renderla gestibile, no?
Ecco perché fare coming out, quando si può. Non è una celebrazione, non è un mettersi in mostra. Per me, fare coming out significa sconfiggere quella paura di essere sbagliato, mostrandomi agli altri. E se gli altri accettano siam tutti felici, ma se non lo fanno beh… non si può essere amici di tutti. Ma di me stesso sì, vorrei tanto esserlo.
Io sono bisessuale.
(ovviamente Travis Fimmel. Bella Katheryn eh, ma vuoi mettere con Ragnar che ti sorride? Ma di cosa discutiamo, dai!)

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