Scoprirsi uomo transgender a 40 anni: come cambia il mondo, la famiglia, il lavoro, gli amici, l’intimità*. Parte 2

Scoprirsi trans* in età matura con già una famiglia e dei figli, un preciso giro di amicizie consolidate, un passato da persona cis molto diversa fisicamente ed emotivamente spesso vuol dire ricominciare tutto da capo.

Sei sempre la stessa persona, ma, allo stesso tempo, non lo sei. Non lo sei perché vedi il modo in modo diverso e perché gli altri ti fanno sentire diverso.

Un consiglio che mi sento di dare, se ce lo si può permettere visto che sembra essere un lusso quando non dovrebbe, è trovare un terapista specializzato nel campo. Io ho evitato centri specifici, quelli che tendono a medicalizzare la persona, e mi sono rivolto a un professionista privato con cui stiamo facendo un lavoro che va ben oltre la disforia. È lungo, a volte doloroso, spesso liberatorio. E bisogna mettere in conto i rimpianti che vorremmo non aver mai scoperto. Bisogna essere emotivamente pronti perché può portare a un ribaltamento della tua esistenza e dei tuoi punti fermi.

Non posso sottopormi a terapie ormonali per importanti problemi di salute di natura endocrina e il nostro Paese non mi consente di rimuovere il seno senza prima la terapia ormonale, quindi sono in una fase di stallo forzato in cui a volte navigo a vele spiegate e a volte sono impantanato in uno stagno fangoso dentro un guscio di noce. Nel mio caso un terapista privato, non finalizzato alla medicalizzazione, è stata e ancora è la soluzione giusta. Vediamo per quanto però (ci sono dei giorni in cui vorrei bruciare i binder e strapparmi di dosso il seno, ma questa, per ora, è un’altra storia).

Andiamo avanti con i cambiamenti: gli amici. Paradossalmente, per me la parte più “facile” da gestire sono state le amicizie. Si sono fatte e si fanno pulizia da sole appena percepiscono che qualcosa in me è cambiato. I discorsi infantili “se sei un vero amico allora mi devi supportare” lasciano il tempo che trovano. A una certa età hai altre priorità, onestamente, e l’idea di amico e di compagnia ha smesso di essere adolescenziale da un pezzo.

Per me una persona ha il diritto di non essere più interessata a te se cambi totalmente, se cominci a parlare di cose che non le interessano o se ti trova troppo diverso rispetto alla persona “che gli piaceva”. E’ evidente che non fosse una di quelle amicizie da poema epico. Io stesso ignoro, tra le tante categorie, chi parla di calcio, per esempio. Li ho silenziati dalle amicizie sui social e non ho idea di come vada la loro vita da anni. Questo non vuol dire che non provi comunque affetto per un amico di infanzia, per esempio, o non consideri importante la sua opinione su altro, ma se parli sempre di calcio col cazzo che ti ascolto. Loro fanno lo stesso con me e va bene così.

Chi rimane è un ristretto manipolo di persone il cui supporto è fondamentale e ti cambia, letteralmente, l’esistenza. So che non dovete ringraziamenti a nessuno, ma, di tanto in tanto, fatelo. A parole o in silenzio ma fatelo. Ovviamente per essere capiti davvero ci vogliono altre persone trans* ma non c’è la garanzia che non si incontrino teste di cazzo anche lì o che non sia difficilissimo trovarne di over 30 apertamente out. Ma almeno il percorso è comune e ci si capisce senza parlare troppo. Internet aiuta se non si vive in una grande città, ma trovare un centro o anche solo un piccolo gruppo con cui ritrovarsi anche saltuariamente può cambiare davvero la vita. Affrontare cambiamenti così epocali senza una “famiglia” può essere davvero duro.

Far capire la disforia o anche “solo” l’essere trans* a una persona non trans* è impossibile. Nessuno, anche quello spinto dalle migliori intenzioni, può capirlo se non ci passa. C’è sempre quel dubbio strisciante tipo “si può essere donne o uomini in tanti modi. Non c’è bisogno di sentirsi altro” anche da parte di chi ti ama. Paradossalmente (o forse no) si riesce a spiegare meglio come “qualcosa di legato alla salute” che come qualcosa di slegato dalla biologia. Se poi ci si scopre “semplicemente” non binario, lì è ancora più dura. Che fare? Passare la vita a spiegare o lasciar perdere? Forse la risposta è nel mezzo e ognuno fa quello che preferisce. Paradossalmente i 40 anni sembrano l’età migliore per fare coming out trans*. Se lo fai da giovane è una fase, sei giovane, ancora non puoi saperlo, passerà ecc. Se lo fai oltre i 60 anni sei ovviamente rimbambito, ma se lo fai a 40 anni quasi quasi ti si crede.

Detto questo io parto dal presupposto che ci siano persone a cui vale la pena spiegare e altre no. Frega un cazzo se il salumiere pensa che io sia lesbica ma non capisce se sono mezzo maschio o femmina femmina.

Questo discorso però va bellamente a farsi benedire quando bisogna affrontare il posto di lavoro….

* Questi articoli sono pensieri personali di Luka, 43 anni, persona bisessuale, transgender e genitore. Descrivono esclusivamente le singole esperienze della persona e non vogliono essere una guida né rappresentare l’esperienza di tutte le persone transgender adulte. Rubrica in 6 parti. 

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