Le diverse facce dell’attivismo

Oggi scrivo dalla montagna, da un piccolo paesino nelle bellissime vallate dell’Alto Adige.

Non scrivo un pezzo per Bproud da un sacco di tempo per svariati motivi: il primo è che ho avuto e ho tutt’ora dei problemi personali che non mi hanno lasciato lo spazio mentale per poter scrivere.

Il secondo è che avevo saturato con l’attivismo. Dopo tanti anni a cercare di cambiare le cose avevo finito le energie.

Già, perché ci vogliono tante energie e una predisposizione mentale per lottare contro le discriminazioni e dopo gli ultimi anni in cui con Francesca e lo splendido B-team abbiamo dato tanto, mi sono sentita completamente spompata e stanca di dover lottare tanto anche all’interno della comunità.

Stanca di sentirmi un pesce fuori d’acqua perché non sono la tipica lesbica doc, né lipstick, né qualsiasi altra tipologia di omosessuale donna esista nelle definizioni del mondo LGBT+.

Stanca di dover sempre fare coming out come lesbica, sia tra gli etero che nel mondo LGBT solo perché faccio attivismo in un gruppo di persone bisessuali e pansessuali.

Stanca delle dinamiche di potere dell’associazionismo LGBT.

Insomma, stanca e senza energie: per più di un anno mi sono sentita come se l’attivismo mi avesse risucchiato tutto.

A questo si sono aggiunte motivazioni private e tanti cambiamenti a livello pratico ed emotivo che hanno reso la mia disponibilità di tempo ed energie (e voglia) da dedicare all’attivismo sempre più risicata.

Persino il pride quest’anno, nei 50 anni di Stonewall, non ha fatto parte della mia vita per la prima volta in 23 anni.

Tra le varie cose che mi sono successe nell’ultimo anno, c’è stato anche un nuovo lavoro, con nuovi colleghi e nuovi coming out da fare in un ambiente chiaramente ostile (non per i colleghi ma per il tipo di amministrazione).

Normalmente avrei semplicemente fatto tutto a muso duro: della serie “sono lesbica, beccati questa informazione e se non ti va bene, ciaone!”.

Questa volta, invece, è stato tutto diverso. Ho fatto coming out senza grossi traumi: nel momento in cui mi si chiedeva di me, se ero single, fidanzata o sposata, ho semplicemente detto che ero sposata con una donna. Come se lo dicesse un amico etero.

La cosa sorprendente è stata la reazione dall’altra parte: attimo di disorientamento e poi, in tutti e sottolineo tutti i casi, la domanda che appunto avrebbero fatto ad un/una etero: “Ma come fate adesso a distanza? Lei sta cercando lavoro qui?”.

E allora ho finalmente capito una cosa importante che mi era sempre sfuggita: che lo vogliamo o meno, il nostro essere una minoranza comporta sempre una forma di attivismo, un tentativo di cambiare le cose per essere liberi di essere quello che siamo, sia o meno conforme alle regole delle nostre società (etero o LGTB+, cambia poco).

Facciamo attivismo nel momento in cui dichiariamo chi amiamo, i nostri nomi, le nostre storie: noi stessi siamo attivismo allo stato puro!

E dopo anni, con questa rivelazione che forse molti di voi avranno già avuto da tempo, mi sono sentita davvero per la primissima volta libera di essere me stessa per quello che sono, a prescindere dall’appartenenza a un’associazione, una definizione o un gruppo politico.

E per me è stato come il mio primo pride, una rivelazione meravigliosa!

Buon pride a tutti noi, che viviamo in un mondo che ha regole diverse dalle nostre anime e che anche solo per questo motivo, siamo attivisti soprattutto nella nostra quotidianità.

Silvia

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