I pro e i contro della terminologia LGBT+

Come alcuni di voi sapranno, ho deciso di rimettermi a studiare a 38 anni; 4 anni fa mi sono iscritta all’Università e ho iniziato il mio percorso come matricola.
Ovviamente mi sono quindi trovata a condividere la mia quotidianità di studentessa con persone più giovani di me di quasi 20 anni e quasi tutte eterosessuali e cisgender.

Sarà che Bologna è speciale, sarà che i giovani di oggi vivono in un mondo in cui la diversità finalmente è parte integrante della società, sta di fatto che per fortuna non ho trovato nessun tipo di resistenza nei miei confronti, né per la differenza d’età né tanto meno per il fatto di essere lesbica ed essere in coppia con una donna bisessuale.

Con molti colleghi universitari sono riuscita a creare dei bellissimi rapporti d’amicizia, tanto che alcuni sono stati tra gli invitati alla nostra unione civile.

Molti di loro prima di conoscere me, e di conseguenza Francesca, non erano mai entrati in contatto con nessun tipo di realtà non eterosessuale e, pur essendo estremamente aperti, non avevano minimamente idea di come funzionasse l’universo LGBT+.

Costruire un rapporto con persone eterosessuali che non conoscono il tuo mondo è un’esperienza che tutti noi abbiamo sicuramente fatto, almeno una volta nella vita.
Per esperienza personale posso direi che spesso purtroppo rimangono tanti non detti e tante cose date per scontate, sia da una parte che dall’altra.

Sono stata molto fortunata perché questi ragazzi giovani sono molto curiosi e non si sono accontentati. Man mano che le relazioni diventavano più profonde cresceva infatti la loro curiosità e il bisogno di capire meglio i vari colori di un mondo nuovo con cui si interfacciavano.

Sia io che Fra ci siamo rese conto subito che per poter raccontare meglio tante sfaccettature delle nostre vite avremmo dovuto spiegare molte cose, a partire dalla terminologia LGBT; essere attiviste da anni infatti ci aveva portate a dare per scontato un mondo di parole e significati che nella pratica è una sorta di vera e propria lingua a se stante.

Inoltre, man mano che si parlava della terminologia e dei significati di termini quali pansessuale, genderfluid, queer o altro, venivano a galla anche molte domande sulla storia del movimento LGBT+ e sul significato di simboli e gesti interni alla comunità.

Aver avuto la fortuna di rapportarsi con persone giovani e curiose, che volevano conoscerci fino in fondo e sapere tutto di un mondo di cui hanno sempre sentito parlare ma che risulta lontano anni luce dalla loro quotidianità, mi ha fatto riflettere su quanto davvero noi, movimento LGBT+, siamo in grado di farci capire all’esterno.

La risposta che purtroppo mi sono data è che chiunque non faccia parte della nostra comunità fa davvero fatica a capirci, anche se lo vuole davvero e non ha pregiudizi di partenza.

La domanda successiva che mi sono posta è stata: ma all’interno della nostra comunità invece è davvero chiaro tutto a tutti? Siamo davvero così bravi da sapere tutto della nostra storia, del perché di alcune scelte (anche solo del motivo per cui esiste il Pride ad esempio) e di cosa significano i termini che tutti gli attivisti danno per scontati?

Sono arrivata alla conclusione che una persona LGBT+ non attivista abbia la stessa possibilità di usare la terminologia sbagliata di una persona eterosessuale.

Parlando con Francesca di questa cosa, mi ha detto che aveva appena letto un articolo di Zachary Zane proprio su questo argomento e mi ha mandato il link.

Ho sempre pensato che noi per primi dobbiamo dare il buon esempio e usare le parole giuste parlando della nostra comunità, per dare una narrazione corretta (e in un certo senso scientifica) di quello che è la nostra realtà e il nostro vissuto.

Ma come si chiede l’autore dell’articolo, quanto questo può arrivare a limitarci sia nell’essere compresi all’esterno che nel tarpare le ali all’interno a chi non conosce approfonditamente storia, parole e simboli LGBT?

Più volte mi è capitato di sentir dire da attivisti che chi vuole capirci deve sforzarsi di informarsi su di noi.
In parte potrei essere d’accordo, a patto che dall’altra parte ci sia la volontà di spiegare e farsi capire, cosa che purtroppo ho riscontrato poche volte.

Quello che credo purtroppo spesso si voglia evitare con l’atteggiamento di chiusura del “chi vuole capirci si deve sforzare” è il riconoscere a se stessi di far parte di una minoranza.

Che lo si voglia o meno, una minoranza per essere capita, accettata e ottenere un riconoscimento dalla maggioranza deve saper comunicare in maniera efficace le proprie ragioni; per dirlo in maniera scientifica possiamo citare la teoria di Serge Moscovici sull’influenza minoritaria.
Moscovici nella sua teoria sostiene infatti che è nei processi di relazione e comunicazione che sta l’efficacia della persuasione orientata all’innovazione, ovvero la possibilità che ha una minoranza di cambiare il modo in cui viene vista dalla maggioranza.
Il punto chiave per lui è il riuscire a modificare le convinzioni profonde piuttosto che quelle di superficie, mettendo in atto una sorta di “conversione interiore” di soggetti di maggioranza che andranno poi ad agire sulla stessa maggioranza, creando un cambiamento nella società.

Anche non conoscendo nulla di psicologia sociale e delle sue teorie, quello che ho visto con i miei occhi nella pratica è esattamente quello che descrive Moscovici.

I miei amici etero cisgender infatti, una volta capito il senso profondo dell’uso della terminologia che ci rappresenta e il motivo per il quale è importante usarla in maniera corretta, non solo hanno iniziato a diventare precisi quando parlano di tematiche LGBT+, ma sono diventati i primi a diffonderne l’uso e la conoscenza tra i loro amici etero, trasformandosi quindi in co-autori (e preziosi alleati) del cambiamento di pensiero della maggioranza della popolazione.

Pensate se, invece di chiuderci in un mondo elitario di poche persone che sanno tutto, ci aprissimo finalmente a spiegare sempre di più la nostra storia, le nostre parole e i nostri gesti a chiunque mostri un cenno di interesse, che sia all’interno o all’esterno della comunità LGBT+…
Pensate quanto potremmo davvero incidere sul cambiamento che tanto vogliamo e che fatichiamo così duramente ad ottenere!

 

 

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