Comunità LGBT+ e BDSM: un viaggio tra ricerca del piacere e resistenze culturali

Bproud ha intervistato Chiara, aka Alithia Maltese, donna bisessuale, insegnante di shibari ed educatrice di sessualità alternativa che ci ha condotto in un breve ma intenso viaggio nel BDSM visto anche dal punto di vista LGBT+.

La tua storia in breve

Mi chiamo Chiara, nel mondo BDSM sono conosciuta come Alithia Maltese. Sono insegnante di shibari (bondage giapponese) ed educatrice di sessualità alternativa. Dalla Sicilia mi sono trasferita a Torino. Ho iniziato a frequentare l’ambiente LGBTQ+ e in seguito ho fondato il primo aperitivo dedicato ai giovani della scena BDSM piemontese. Mi occupo di formazione organizzando a livello nazionale incontri su consenso, poliamore e laboratori sulla comunicazione non verbale, utilizzando come strumento principale le corde.

Qual è la tua visione delle pratiche sessuali alternative, del BDSM?

Chi pratica il BDSM ha come obiettivo comune la ricerca del piacere e durante la sessione di gioco è possibile portare avanti questa ricerca con i mezzi più disparati. Siamo in uno spazio in cui possiamo sperimentare, mettere in atto fantasie che magari in altri contesti non ci verrebbero neanche in mente. Possiamo esplorare i nostri desideri e condividerli con la persona con cui giochiamo. Possiamo provare vergogna, piangere, rilassarci, godere, avere paura, lasciare il controllo in totale libertà, senza preoccuparci del giudizio di chi è lì con noi in quel momento. Questo ci permette di avvicinarci, di entrare maggiormente in intimità con il/la partner. Non condivido con te solo il mio corpo ma apro una finestra sui miei segreti e ti permetto di vedere cose di me che in altre occasioni non mostro. In più, come singole e singoli, praticare il BDSM ci porta a domandarci che cosa cerchiamo in una relazione (che duri nel tempo di una sessione di gioco o che sia il rapporto con il/la partner), chi siamo, che cosa vogliamo. Insomma, dal mio punto di vista è uno strumento di autodeterminazione in piena regola. La mia pratica d’elezione è lo shibari (tecnica giapponese di costrizione con le corde). Per me legare vuol dire avere un dialogo. Trasmetto il mio stato d’animo, comunico i miei desideri alla persona che sto legando e contemporaneamente mi metto in ascolto. Il corpo parla, basta saperlo osservare.

Perché la decisione di farti promotrice di iniziative BDSM legate al mondo LGBTQ+?

Sono bisessuale, vengo dall’associazionismo LGBTQ+, non posso fare a meno di continuare a guardare a quel mondo, di cui faccio parte e con il quale collaboro. Negli anni ho riscontrato una certa resistenza da parte della comunità LGBTQ+ a interagire con la scena BDSM. Una resistenza sempre minore, per fortuna. Molte persone giovani si stanno avvicinando, soprattutto bisessuali. La mia percezione è che le persone LGBTQ+ pensino di trovare un ambiente non accogliente, anzi, magari anche discriminante, soprattutto per via degli stereotipi che il BDSM si porta addosso. La letteratura, la cinematografia alla quale siamo espost* sono ancora farcite di cliché e storture: il masterone maschione seduce e sottomette la giovane e bella ragazza inesperta, la mistress in latex frusta violentemente un uomo, possibilmente di mezza età. La pornografia non ci viene in aiuto. Tutte le scene sono estremizzate, le interazioni sessualizzate in modo eteronormato o secondo il gusto eteronormato. Chiunque ci penserebbe due volte prima di rischiare di trovarsi in un ambiente composto da macchiette. La verità è che non siamo così. Certo, questi stereotipi da qualche parte sono saltati fuori, e forse dovremmo guardare più a romanzi come Histoire d’O (romanzo pubblicato nel 1954 e film realizzato nel 1975) che alle opere del Marchese de Sade o di Leopold Von Sacher-Masoch per cercare una spiegazione. La letteratura rosa, con quelle storie di procaci maschioni rapitori di svenevoli fanciulle, gli Harmony, così vicini alle casalinghe degli anni Ottanta, il successo delle 50 sfumature e il caso dei 365 giorni hanno contribuito a fare in modo che il vecchio immaginario BDSM, tanto basato sul genere e sui ruoli, si perpetrasse anche nell’epoca contemporanea. In un’intervista che mi ha rilasciato Rita Pierantozzi su scena BDSM e comunità LGBTQ+ https://www.alithiamaltese.com/scena-bdsm-e-comunita-lgbtq/, lei mi diceva che “molta della comunità GLBTQ+ è chiusa in un tentativo di normalizzazione che percorre vie eteronormate e fa fatica ad accettare realtà alternative. Si fa fatica ad accogliere bisessuali, persone trangender e non binary figuriamoci persone kinkster. Il doppio stigma è difficile da portare”. Molto spesso persone LGBTQ+ mi chiedono: “Come posso fare ad avvicinarmi al BDSM in un ambiente queer?” In realtà il nostro aperitivo è queer. Io sono bisessuale, uno degli organizzatori è non binary, ci sono molte persone LGBTQ+ e speriamo che, un po’ col passaparola, un po’ grazie ai miei interventi nelle associazioni LGBTQ+, ce ne siano sempre di più. È giusto che tutte e tutti abbiano uno spazio sicuro di confronto in cui poter sperimentare e conoscere persone.

In cosa consistono le tue proposte e che tipo di pubblico attraggono maggiormente (età/background culturale/ecc…)?

Oltre a organizzare aperitivi e occasioni di incontro per chi è interessato ad avvicinarsi al BDSM, sono spesso ospite di associazioni LGBTQ+, gruppi transfemministi e collettivi universitari che mi invitano a parlare di temi quali il consenso, la violenza, la comunicazione all’interno delle relazioni. Per prepararmi al meglio a questi incontri ho cominciato a studiare educazione sessuale e a sviluppare in metodo persone per trattare argomenti connessi alla sesualità alternativa. Ho quindi avviato la mia attività di insegnante di shibari, perché era nata l’esigenza di accostare alla teoria la pratica e non avrei potuto scegliere altro strumento che le corde.
Come educatrice propongo una serie di workshop che hanno come obiettivo una maggiore consapevolezza di sé stessi e lo sviluppo dell’ascolto degli altri. Quello che amo di più è forse il laboratorio Body Language – corde e comunicazione. Attraverso una serie di semplici esercizi di interazione in coppia si ha la possibilità di esplorare come i nostri corpi sappiano naturalmente esprimersi e ascoltare e come questa capacità naturale possa essere ulteriormente potenziata. Legare il proprio/la propria partner è una delle fantasie erotiche più diffuse e molte persone sognano di farlo. Da quando ho iniziato a praticare lo shibari è cambiata la consapevolezza del mio corpo e la percezione del corpo del mio partner. Ho sviluppato la capacità di ascoltare i suoi bisogni e i nostri desideri. Questo workshop è nato dalla nostra esperienza.  La fascia di età con cui ho maggiormente a che fare è quella tra i 18 e i 40 anni, si rivolgono a me persone di ogni genere e orientamento, studenti universitari e professionisti. Molte persone decidono di intraprendere un percorso con me perché sono una donna bisessuale e si sentono a loro agio a parlare dei loro desideri e delle loro fantasie; sanno che si troveranno in un ambiente inclusivo.

Nella tua esperienza le persone non monosessuali interessate sono in numero maggiore/uguale/minore rispetto ad altri orientamenti? 

Sicuramente c’è una maggioranza di eterosessuali ma sono subito seguiti da bisessuali e pansessuali. Non credo di aver mai visto un ambiente in cui la quota B fosse così elevata come la nostra community a Torino. Penso che questo dipenda sia dalla città in cui ci troviamo (abbiamo una lunga tradizione di associazionismo, i pride sono diventati la festa di tutte e tutti, non solo delle persone LGBTQ+) e in parte dal fatto che queste persone sanno di avere in noi organizzatori dei punti di riferimento, se ne hanno bisogno. Ci sono anche persone omosessuali e persone T e gender fluid ma in numero molto minore. Speriamo di avere la possibilità di dimostrare loro che possono fidarsi di noi, che siamo un gruppo accogliente e rispettoso delle specificità di tutte e tutti. A volte è stata mossa l’obiezione: “Le persone omosessuali non vengono anche perché pensano di non trovare partner di gioco”. Data la presenza di persone bisessuali mi sento di dire che questa percezione non è corretta e inoltre mi è capitato di assistere a diverse dinamiche di gioco in cui le persone coinvolte erano due uomini o due donne, senza che necessariamente questi fossero anche partner sessuali quindi mi sembra che i nostri eventi possano comunque essere un buon trampolino di lancio per l’esplorazione.

 
Difficoltà incontrate (resistenze ideologiche, culturali nel mondo LGBTQ+ e femminista)?

Spesso mi viene chiesto se BDSM e femminismo sono in contrasto. Mi è stato detto che il BDSM è figlio del patriarcato, che le donne dominanti sono un prodotto della cultura machista e che le donne che giocano da bottom sono delle persone facilmente manipolabili che vengono abusate all’interno delle dinamiche di gioco. Quando ho chiesto spiegazioni mi è stato risposto che essendo il BDSM basato su dinamiche di potere le donne non dovrebbero accettare di prendervi parte, soprattutto non dovremmo permetterci di imporre una dinamica di potere sulle nostre compagne. La mia risposta è molto semplice. Tanto per cominciare nessuna dinamica di nessun genere può mai essere imposta in un contesto così attento al consenso come è il nostro. Inoltre tutta la nostra vita è permeata da rapporti di potere ed è naturale che sia così. Quello che non è naturale, contro cui dovremmo batterci, sono gli abusi di potere. Nel BDSM qualunque tipo di abuso è aborrito. Tutto si basa su accordi, taciti o espressi, e tutti i rapporti si basano sulla possibilità di dare o negare il proprio consenso in qualunque momento. Chi pratica il BDSM lo fa liberamente. Io lo vedo come uno strumento di autodeterminazione, di presa di coscienza del proprio corpo e dei propri desideri. Questo tralasciando il fatto che il BDSM che noi pratichiamo, i protocolli di sicurezza che usiamo vengono dalla comunità gay leather. E se proprio devo essere etichettata come figlia di una qualche cultura io preferisco definirmi figlia loro, figlia di David Stein, co-fondatore dell’associazione no-profit “Gay Male S/M Activists” che negli anni Settanta – Ottanta formulava il primo protocollo di sicurezza, ponendo il consenso alla base di tutte le interazioni BDSM.

Contatti

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Credits: modella Usagi Momo; fotografo Stefano de Angelis 

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