Bisessualità e ricerca: uno studio raccoglie le storie di bisessualità in Italia – Parte I

Aurelio Castro è dottore di ricerca (Ph.D.) in “Scienze Sociali: Interazioni, Comunicazione e Costruzioni Culturali”. Nella sua tesi dottorale si è occupato di bisessualità e maschilità, un argomento di cui ha parlato con noi in un’intervista. Aurelio ci ha raccontato come le bisessualità sono studiate nella ricerca accademica e ha condiviso le storie di vita raccolte nelle interviste parte del suo lavoro di tesi.

Come mai hai scelto questo tema di ricerca?

La mia motivazione nasce dal fatto che non se ne stava parlando abbastanza in Italia quando ho iniziato il dottorato nel 2016. Incontrando le comunità B+ nel Regno Unito nel 2015, ho visto che le bisessualità erano presenti nella sfera a più ampio raggio, con eventi e il resto, mentre in Italia non hanno una grande forza mediatica. Nel Regno Unito viene organizzato ogni anno il BiCon per esempio. Ho pensato fosse importante contribuire nel contesto italiano, studiare come si vivono le bisessualità in Italia e come entrano in relazione con le nostre storie personali e le nostre identità, oltre alla sfera sociale. Da lì il voler comprendere le narrazioni delle persone B+, come vivono il loro orientamento e come lo costruiscono, che spiegazioni si danno e come entrano in gioco le varie esperienze sia di bifobia che di affermazione della propria identità. Anche come entrano in gioco nelle loro relazioni, sia monogame che non monogame.

Chi ha risposto alle tue interviste?

Hanno risposto uomini, donne e persone non binarie. Tendenzialmente molte più donne, quasi il doppio. C’è stata una grande partecipazione e un grande supporto.

Per quale motivo secondo te hanno partecipato molte più donne?

Secondo me per due motivi principali: perché la bisessualità maschile essendo stata molto più cancellata, vede molti uomini in difficoltà nel dirsi bisex pubblicamente. Le persone a loro vicine non le vedono come bisessuali o pansessuali perché evitano di dirlo, soprattutto negli ambienti LGBT come strategia per ridurre lo stigma ed evitare di affrontare la bifobia. Poi, tra gli intervistati, alcuni uomini bisex spesso non avevano riscontro sul fatto di poter essere bisessuali e vedevano le proprie attrazioni come qualcosa di saltuario e non parte della loro identità.  Per molti uomini bisex era la prima volta in cui parlare con un altro uomo bisex e dove avere modo di parlare delle proprie bisessualità con qualcun altro in generale. Essendoci qualche anno fa, nel 2017/2018, quando ho svolto la ricerca, molte meno associazioni o spazi dedicati alle bisessualità, non sapevano con chi parlare e dove trovare spazi di confronto. Non è che gli uomini siano meno bisessuali, ma c’è un grande interesse e investimento nelle scienze sociali e nella sessuologia nell’affermare che gli uomini possano essere solo etero o gay, creando bifobia interiorizzata che porta queste persone a non dirsi bisessuali. Questo è stato un punto da scardinare per molte persone: potersi dirsi e riconoscersi come bisessuali perché tutto il resto, tutto il mondo gay ed etero, gli diceva invece che dovevano scegliere.

Che fasce di età hai intervistato?

Mi interessava comprendere le persone più giovani, i millenial e la generazione Z, dai 18 ai 40 anni, ma ho intervistato tutte le persone che volevano partecipare. La più anziana è stata un uomo bisex poliamoroso di 72 anni, abbiamo parlato delle sue relazioni e dei coming out con i figli adulti.

Sarebbe un’altra ricerca interessante approfondire le bisessualità in fasce più anziane.

Sì, perché spesso hanno più difficoltò a definirsi B+ proprio perché all’epoca in cui hanno iniziato a comprendere il loro orientamento mancava l’opzione, non si parlava molto di bisessualità, anche se nei testi di Mariasilvia Spolato qualcosa c’era, le si accennava, ma nella storia italiana si parlava soprattutto di manifesto gay, che ha portato molte persone ad essere bisessuali nell’orientamento ma a definirsi omosessuale. Questo spiega anche la bifobia delle persone, anche all’interno dei movimenti.

Come parlano di bisessualità le persone intervistate, come la percepiscono e raccontano?

Se chiedi a 50 persone bisex di parlare di bisessualità, avrai 50 risposte diverse, e va benissimo così perché – questo discorso è molto importante per me e per le persone – le scatole sono utili fino a quando le usiamo noi e siamo noi a decidere di starci. Le etichette e le definizioni ci danno un’idea di come possiamo comprendere le nostre esperienze, emozioni e sensazioni. Anche se ci sono delle definizioni standard va benissimo che queste vengano rese più adatte alla nostra esperienza. Non c’è un requisito unico, se non l’attrazione per più di un genere, quindi una definizione molto ampia. Ma queste definizioni devono essere usate per capirci, non per fare una tassonomia specifica di tutte le possibili combinazioni delle attrazioni, perché la loro bellezza è anche la componente fluida, l’attrazione può avere tante forme. Non puoi prendere un fiume con due mani, sta già scorrendo: l’insieme di tutte le esperienze e identità bisessuali sono così ampie da non poter essere rinchiuse in una categoria specifica perché assumono tante forme e le etichette non devono essere costrizioni per cui cercare corrispondenze al 100% o stressarsi per essere ‘davvero’ bisex.

Che elemento accomuna le interviste?

Un elemento frequente è la sensazione di essere tirati tra due mondi: le persone B+, di ogni genere, sentono in continuazione la pressione da parte dei partner, della famiglia, dei pari, della rete sociale, a dover scegliere, spesso a seconda del genere del partner attuale (“ora sei etero/omo allora!”), a maggior ragione nelle famiglie bisessuali. Questa sensazione diventa un processo da dover negoziare per riaffermare la propria autenticità in quanto persona B+, perché il resto della tua rete sociale ti sta cancellando o vuole renderti invisibile e si smette di parlarne.

Che fattori di difficoltà vissuti dalle persone B+ sono emersi nelle storie che hai raccolto?

Una cosa che le persone sentono molto è questa ‘sindrome dell’impostore’ per cui pensano di non essere abbastanza, e lo si sente molto nelle relazioni. Alcuni intervistati parlavano della paura di perdere ‘quel sapore’: ti scordi che sapore può avere una relazione con un genere perché sei in relazione con un altro genere, hai paura di perdere l’abitudine, di perdere la queerness. Se stai in relazioni che sembrano eterosessuali, ma non lo sono, allora si ha paura di non essere più accettat* per la bifobia o internamente di non sentirsi abbastanza queer. Sono bifobie interiorizzate che possono farci male, che vanno decostruite per tempo perché la nostra autenticità non passa da queste cose. Molt* poi raccontano di persone che provano a dettare il tuo orientamento, provano a dirti che il tuo orientamento non va bene, che va messo in discussione, che non esiste. Sono quelli che Rodriguez Rust chiama “miti delegittimanti”, ovvero il non rendere possibili le bisessualità del qui e ora creando requisiti irraggiungibili o inventati di sana pianta così da provare che la bisessualità non esiste. Il primo per esempio è l’attrazione 50 e 50, che è un concetto binario, legato a due generi e sessi. Robyn Ochs ci dà una bellissima definizione di bisessualità: “riconoscere in sé la potenzialità di provare attrazione verso più di un sesso/genere, non necessariamente nello stesso modo, nello stesso tempo e nella stessa intensità”.

Quali sono invece i fattori positivi?

Ci sono dei punti di forza e di protezione, per esempio quando le persone con cui stai non solo accettano il tuo orientamento, ma ti supportano e validano la tua identità in continuazione. C’è una differenza nelle relazioni se la persona con cui stiamo è indifferente al nostro orientamento (che non è un fattore negativo, ma nemmeno positivo) o se la persona ci supporta, ci dà riconoscimento, ci ascolta e dà spazio alle nostre attrazioni verso più generi in modo supportivo. Sappiamo che un grande fattore di protezione nei confronti della bifobia e dello stigma è essere accettat* dalla persona con cui stiamo, allora gli effetti della bifobia scompaiono, molto. Questo è un fattore importante per contrastare la bifobia e i pregiudizi legati alle bisessualità (sei confus*, instabile, mi tradirai, è una fase, eccetera).

Come è percepita e vissuta la bisessualità nelle relazioni?

Ho intervistato uomini la cui bisessualità non era accettata dalle donne con cui avevamo una relazione, arrivando a delle rotture. Per gli uomini bisex c’è anche lo stigma legato al comportamento omoaffettivo: “non sei bisex, sei gay e mi tradisci” o “che schifo, sei attratto da altri uomini”, che è una componente bifobica legata più spesso al mondo maschile, mentre per le donne bisex questo arriva alla feticizzazione o alla non comprensione, oppure al fatto di andare bene purché non lo sappia nessuno.

Ci sono coppie a orientamento misto che vedono forme di violenza e cancellazione dove molto spesso i partner, non accettando l’orientamento del partner B+, preferiscono che si dica etero o omosessuale quando è in una relazione, anche se l’orientamento sessuale non dipende dal genere della persona con cui stiamo, è sempre presente. Da qui la famosa campagna still bisexual, ovvero a prescindere da con chi sto, sono bisessuale, sempre, anche senza stare in una relazione, anche senza aver avuto alcun rapporto sessuale. Come esistono le persone eterosessuali vergini, esistono le persone bisessuali vergini. Ci sono comunque anche molti partner supportivi, non necessariamente bisex, oltre ad alcune persone B+ che stanno con altre persone B+ per evitare la bifobia, almeno esterna.

Delle persone hanno parlato anche di pansessualità?

Assolutamente sì, facendo interviste con persone B+ rientrano anche le persone pansessuali, è tutto sotto l’ombrello delle persone attratte verso più di un genere. Persone poi non solo cis, ma anche non binarie, gender-queer, trans, quindi anche varie identità oltre all’orientamento.

 

 

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